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Brevi note sui profili fiscali delle Initial Coin Offerings (ICO)

24 Giugno 2018

Brevi note sui profili fiscali delle Initial Coin Offerings

di Alessandro Dagnino

Tax Partner, Dagnino studio legale membro di LEXIA Avvocati

Quando si parla di criptomonete si pensa, soprattuto, alle criptovalute, cioè alle monete virtuali concepite per essere utilizzate come strumenti di pagamento: bitcoinethereum, litecoinripple e simili.

Le criptomonete, tuttavia, sono strumenti molto flessibili e possono essere destinati a molti altri usi; chiunque può crearne di nuove e lanciare sul mercato una Initial Coin Offering (ICO), cioè un’offerta iniziale di nuovi gettoni virtuali (token).

Accanto alle criptomonete per così dire, “classiche”, rientranti nella categoria delle cripovalute (c.d. currency token), si possono avere gettoni concepiti per essere utilizzati come strumenti finanziari (c.d. security token), gettoni che consentono l’accesso a prestazioni di servizi digitali forniti dall’emittente (c.d. utility token) e gettoni di natura mista (c.d. hybrid token).

Stabilire la natura di un token può essere talvolta difficoltoso, dovendosi indagare sull’interesse in concreto perseguito dalle parti, maè di fondamentale importanza per identificare la disciplina fiscale applicabile, attività, questa, che può presentare rilevanti margini di incertezza.

Per il trattamento fiscale deicurrency token, vi è una chiara presa di posizione della Corte di giustizia UE, la quale, con la sentenza “Hedqvist”, del 22 ottobre 2015, relativa ai bitcoin, ha affermato che gli stessi possono essere qualificati, ai fini IVA, come “valute”, con conseguente applicazione dell’esenzione prevista per le operazioni di scambio relative a «divise, banconote e monete con valore liberatorio».

In materia di imposte dirette la Risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 72/E del 2 settembre 2016, anch’essa relativa al bitcoin, nel solco della sentenza della Corte europea, ha ritenuto applicabili alle imprese che possiedono questa criptovaluta le norme fiscali in materia di valute estere.

Si tratta di una posizione potenzialmente penalizzante per il mercato, poiché l’impresa che possiede bitcoin sarà chiamata a determinare il valore del proprio portafogli in criptovaluta secondo il cambio in vigore alla data di chiusura dell’esercizio, con conseguente tassazione di eventuali plusvalenze ancora latenti, che non necessariamente saranno realizzate in concreto, stante la notevole volatilità cui la moneta virtuale ha più volte dato prova di essere esposta.

Insidiosa è, poi, l’ulteriore posizione formula dall’Agenzia delle entrate nella citata risoluzione, secondo la quale il possesso di bitcoinda parte di persone fisiche che agiscono al di fuori dell’attività d’impresa non genera redditi imponibili, trattandosi di operazioni in valuta a pronti nelle quali manca la finalità speculativa.

Anche se la risoluzione non affronta espressamente l’argomento, non sembra che la disciplina ivi indicata possa trovare applicazione nel caso di superamento dei limiti dimensionali fissati dall’art. 67, c. 1-ter, del TUIR, per le operazioni a pronti in valute estere (cioè, giacenza complessiva di tutti i depositi e conti correnti in valuta intrattenuti, nel corso dell’anno, superiore a 51.645,69 euro, per almeno 7 giorni lavorativi continui), con la conseguenza che, in tale ipotesi, sembra doversi dare luogo a tassazione dei capital gains.

Distinto è il regime fiscale dei security token, ai quali, invece, dovrebbero essere applicate le norme del TUIR relative agli strumenti finanziari e, in particolare, degli strumenti similari alle azioni o alle obbligazioni, a seconda delle caratteristiche in concreto dei token, con i conseguenti effetti fiscali che ne derivano, sia per gli emittenti che per i sottoscrittori.

Ancora diverso è il trattamento degli utility token, i quali paiono assimilabili ai documenti di legittimazione previsti dall’art. 2002, cod. civ., cioè ai «documenti che servono solo ad identificare l’avente diritto alla prestazione, o consentire il trasferimento del diritto senza l’osservanza delle forme proprie della cessione».

I proventi della cessione diutility tokendovrebbero essere tassati come ricavi e assoggettati a IVA, se percepiti nell’esercizio di impresa, arte o professione. Se invece sono acquistati da persona fisica al di fuori dell’esercizio di impresa, dovrebbero essere fiscalmente irrilevanti ai fini delle imposte dirette e anche dell’IVA.

Stante la novità delle questioni trattate e la natura spesso ibrida dei tokenche sono attualmente oggetto di numerose ICO, allo scopo di prevenire errori di grande impatto potenziale sia per gli emittenti che per i possessori, appare consigliabile eseguire gli opportuni approfondimenti prima del lancio o dell’acquisto di una nuova criptomoneta e verificare che il white paper dell’ICO contenga un’apposita sezione fiscale.

Per quanto riguarda gli emittenti, sembra, invece, doversi scoraggiare radicalmente la prassi, già diffusa, di costituire all’estero i veicoli societari utilizzati per il lancio di ICO, poiché questo non consente tout court di sottrarre l’operazione al sistema fiscale italiano e anzi espone al rilevante rischio che l’Agenzia delle entrate contesti la realizzazione di forme di esterovestizione, con le gravi conseguenze, anche di natura penale, che ne possono derivare.

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