Accolto il ricorso di un palermitano assistito dall’avv. Dagnino; annullato un debito fiscale di oltre mezzo milione di euro.
Nel 2016, la Riscossione Sicilia inviava a un contribuente palermitano una raccomandata con la quale lo preavvisava dell’intenzione di iscrivere ipoteca su tutti i suoi beni, qualora non avesse pagato, entro il termine di trenta giorni, la somma di circa 560.000 euro, relativa a vari tributi, tra cui IRPEF, IVA, IRAP e tributi locali.
L’uomo si rivolgeva all’avv. Alessandro Dagnino, tributarista palermitano, per contestare la pretesa esattoriale, rilevando di non avere riscontrato la notifica delle numerose cartelle di pagamento indicate dall’esattoria e veniva, pertanto, proposto ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Palermo, la quale, accogliendo tutti e otto i motivi formulati, annullava integralmente il preavviso di ipoteca e tutte le cartelle sulla base delle quali lo stesso era stato emesso, azzerando il debito del contribuente.
Questi i più significativi principi affermati dalla CTP, come illustrati dall’avvocato Alessandro Dagnino:
1. L’esattoria si è costituita tardivamente in giudizio (oltre il termine di legge, fissato in venti giorni prima dell’udienza) e pertanto la documentazione dalla stessa prodotta a supporto della pretesa fiscale non poteva essere presa in considerazione al fine di dimostrare la validità delle cartelle.
2. In ogni caso, l’esattoria non può provare la notifica delle cartelle depositando dei semplici estratti di ruolo, come avvenuto nel caso di specie, in conformità con una prassi diffusa. Secondo la CTP, infatti, “L’Agente della riscossione avrebbe dovuto produrre in giudizio copia dell’atto notificato al contribuente, insieme agli originali delle relate di notifica e degli avvisi di ricevimento delle raccomandate inviate”, atti che aveva l’onere di conservare per cinque anni.
In particolare, il Giudice tributario ha affermato che “costituisce precipuo interesse dell’esattore, nonché preciso onere improntato alla diligenza, conservare, nel caso di mancata riscossione dei tributi nel quinquennio e in occasione di rapporti giuridici ancora aperti e non definiti, la copia della cartella, per tutto il periodo in cui il credito portato ad esecuzione non sia stato recuperato”.
3. Inoltre, con riguardo al contenuto delle notifiche, in materia di cartelle la Commissione, condividendo il relativo motivo di ricorso, ha ritenuto che “il legislatore ha inteso garantire l’effettiva conoscenza dell’atto notificato” e pertanto, quando l’atto è consegnato a persona diversa dal destinatario occorre che la consegna venga seguita da una raccomandata inviata all’indirizzo del destinatario, al fine di informarlo della persona in mani della quale è avvenuto recapito e che, pertanto, quando manca “la prova dell’invio della predetta raccomandata informativa, non può ritenersi perfezionato l’iter notificatorio e non essendo assicurata l’effettiva conoscenza da parte del contribuente della cartella a lui destinata”, la cartella è nulla.
4. Infine, il Collegio ha affermato che le sanzioni e gli interessi indicati nelle cartelle si prescrivono in cinque anni, anziché in dieci anni, come sostenuto dall’esattoria.
“La sentenza della Commissione tributaria – prosegue Dagnino – enuncia alcuni fondamentali principi di civiltà giuridica, in base ai quali l’attività dell’Agente della riscossione deve essere vincolata all’osservanza di regole poste a tutela dell’interesse del contribuente, a pena di invalidità dell’atto. In particolare, appare di grande importanza il principio secondo il quale l’esattoria deve adottare tutte le cautele necessarie per assicurarsi che le cartelle siano effettivamente conosciute dal contribuente, guardando alla conoscenza sostanziale, più che al rispetto meramente formale delle procedure. Questo allo scopo di prevenire il rischio, purtroppo frequente, che il contribuente si avveda dell’esistenza di debiti esattoriali a suo carico, senza avere potuto esercitare il proprio diritto di difesa”.