Riportiamo il testo dell’intervento del Prof. Avv. Alessandro Dagnino su SiciliaInformazioni del 28 agosto 2011.

L’articolo originale è disponibile a questo link.

E se la secessione della Padania convenisse alla Sicilia?

(Alessandro Dagnino) Nei giorni scorsi Umberto Bossi, nel tentativo di recuperare l’ormai appannato entusiasmo della propria base elettorale, ha rilanciato l’idea della secessione della Padania.

Potrebbe apparire una provocazione — o, meglio, una contro-provocazione — ma possono considerarsi alcuni profili per i quali la secessione, prima che al Nord Italia, potrebbe convenire alla Sicilia e, più in generale, al Mezzogiorno ovvero, come preferisco dire, all’Italia Mediterranea.

In primo luogo, l’euro.

Ai tempi della lira l’Italia godeva di un formidabile strumento anti-crisi: la cosiddetta “svalutazione competitiva”. In sintesi, quando l’economia andava male, la moneta tendeva naturalmente a deprezzarsi; il deprezzamento della moneta determinava l’abbassamento dei prezzi dei prodotti italiani, i quali divenivano così più competitivi sui mercati internazionali; le imprese quindi esportavano di più e l’economia si ristabiliva, anche a costo di possibili successive spinte inflazionistiche.

Con l’euro questo non è più possibile: per aversi deprezzamento della moneta europea occorrerebbe un peggioramento dell’economia dell’intera Unione. Non è sufficiente il peggioramento dell’economia di un singolo paese né tanto meno di una singola regione. Risultato: le aree più deboli hanno più difficoltà a recuperare terreno.

Se teniamo conto che l’Italia ha un’economia duale, più forte al Nord, meno al Sud, è evidente che il Sud, molto più del Nord, risulta penalizzato dall’adesione all’euro.

Se la Sicilia fosse uno stato autonomo, con una propria moneta, i prezzi praticati nell’Isola sarebbero molto più bassi rispetto a quelli odierni e pertanto i beni e i servizi delle nostre imprese sarebbero molto più appetibili sul mercato internazionale.

Ne beneficerebbe, tra l’altro, il settore turistico che, a costi finalmente più vantaggiosi, potrebbe competere con mete altrettanto meritevoli di interesse, ma oggi ben più economiche.

In secondo luogo, il mercato del lavoro.

L’andamento dei salari dovrebbe essere adeguato alle caratteristiche dell’economia. In un’economia duale, come quella italiana, i salari minimi, fissati dai contratti collettivi nazionali di lavoro, sono adeguati all’economia del Nord e sono invece troppo elevati per il Sud.

Da questo discende che le imprese dell’Italia Mediterranea — non potendosi permettere stipendi così elevati — sono spesso costrette, per sopravvivere, a limitare le assunzioni, ad assumere in nero o, seguendo le più recenti tendenze, ad avvalersi largamente del precariato, con le ben note conseguenze sociali che ne derivano.

Quando, in passato, si è parlato delle cc.dd. “gabbie salariali” si sono posti problemi di eguaglianza: perché un lavoratore del Sud deve essere meno pagato di uno del Nord?

Se la Sicilia fosse autonoma i minimi salariali potrebbero più facilmente essere adeguati alla sua economia, con notevole diminuzione della disoccupazione, del lavoro nero e del precariato.

In terzo luogo, dulcis in fundo, il fisco.

Un territorio dal limitato sviluppo economico, come quello dell’Italia Mediterranea, avrebbe bisogno di imposte basse e semplici da gestire, per favorire l’iniziativa privata.

L’elevatissimo livello di tassazione raggiunto in Italia può forse, a malapena, essere sopportato dalle grandi imprese del Nord, ma è deleterio per il fragile tessuto imprenditoriale del Sud.

Se la Sicilia fosse autonoma potrebbe abbassare la pressione fiscale e semplificare il sistema tributario; le minori entrate potrebbero essere compensate dalla tassazione delle grandi raffinerie petrolifere, che oggi versano allo stato ingentissime accise, stimate in circa 8 miliardi di euro l’anno (stima Dipartimento regionale finanze 2010, su dati del bilancio dello Stato).

Considerato che le imposte dirette versate dai siciliani ammontano a circa 6 miliardi l’anno (dati bilancio previsionale regionale 2010), la Sicilia autonoma, soltanto incassando il gettito delle imposte versate dalle raffinerie potrebbe, ad esempio, abolire l’Irpef e l’Ires, con un avanzo di circa 2 miliardi l’anno da destinarsi ad infrastrutture e/o alla riduzione del debito pubblico di sua pertinenza.

È ovvio che, al momento, l’ipotesi di una Sicilia politicamente indipendente è soltanto un esercizio di fantasia. Chissà che la Lega, in un futuro immaginario, non possa diventare il miglior alleato dei siciliani.